PER SORA NOSTRA LINGUA,
di Carla Gambacorta

Il fatto che Francesco scrisse in lingua volgare il Cantico delle Creature è di una tale eccezionalità che non può essere trascurata. Otto secoli fa, difatti, l'unica lingua per la scrittura letteraria era il latino. Certo, non più il latino classico. Infatti, durante i secoli dell'alto medioevo si completò lentamente quella trasformazione linguistica che ha le sue radici già a partire dall'epoca romana imperiale. Non solo a livello letterario, ma anche a livello documentario si scriveva in latino, ma in un latino ormai lontano da quello cosiddetto classico. Un latino, trasudante volgarismi, che presupponeva da parte degli scribi non propriamente dotti una mescidanza con quella lingua da loro parlata, che derivava sì dal latino, ma che si era così profondamente modificata da venire infine percepita come un'altra lingua. Il passaggio dal latino all'italiano si attuò dunque sul piano dell'oralità e le prime testimonianze di volgare sono pertanto solo dei frammenti, che sfuggono di penna in contesti latini. Un atteggiamento intenzionale nei confronti della 'nuova lingua' si ha solo a partire dal X secolo. Le prime timide attestazioni di volgare giunte sino a noi sono di carattere notarile e religioso, mentre al secolo XII risalgono alcuni componimenti poetici, religiosi e giullareschi. Ma soprattutto durante il '200 nelle varie città, all'interno di àmbiti diversi, si inizia a scrivere più estesamente in volgare, bandiera della nascente civiltà comunale, pur rimanendo il latino l'unica lingua di cultura, la lingua della tradizione. E proprio una delle prime e più significative testimonianze di volgare letterario è il Cantico delle Creature di Francesco d'Assisi, unico testo in volgare del Santo, che pure ci ha lasciato vari scritti in latino. Perché la scelta della 'nuova lingua' in un testo letterario permeato di intensa religiosità, quando Francesco avrebbe potuto usare la lingua della tradizione? Per il chiaro proponimento di farsi capire da tutti, anche dai rustici et illiterati ormai ignari di latino, e di lasciare ai frati un'esortazione allorché si stavano allontanando dal suo originario e unico desiderio: vivere secundum formam sancti Evangelii. La tradizione vuole che il Cantico sia stato dettato nel 1224, due anni prima della morte. Francesco, ben lungi dall'essere l'ingenuo giullare propostoci da una certa cinematografia italiana, compila un'opera in prosa per niente improvvisata, con rime e assonanze, destinata al canto (gregoriano) e ispirata ai salmi e ai cantici latini. A questo proposito il Cantico ha coinvolto sia le migliori intelligenze della filologia italiana, sia la successiva speculazione teologica: a lungo si è discusso sul valore delle preposizioni cum e per, e sull'unità di ispirazione del componimento. La non improvvisazione che si nasconde dietro alle Laudes creaturarum è percepibile anche attraverso le forme latineggianti di derivazione scritturale (iocundo, laude, nubilo, radiante, sanctissime, gloria, ecc.), e la ricca serie di aggettivi riferiti non solo a Dio ma, ed è grande novità, anche alle creature: le stelle, ad esempio, sono clarìte, pretiose et belle, sora acqua è utile et humele et pretiosa et casta e frate foco è bellu et jocundo et robustoso et forte. Francesco, pur scegliendo la lingua volgare, eliminò i tratti più spiccatamente dialettali e creò un esempio di volgare 'illustre' (comprensibile anche oggi), che rimase però ad Assisi un'esperienza isolata, anzitutto perché la città non aveva, né culturalmente, né politicamente, un ruolo autorevole e potente, quale avrà invece Firenze nel secolo successivo. Nella lingua del Cantico si rinvengono nondimeno taluni tratti tipici dell'assisano medievale, come la conservazione delle finali latine -u (dal latino -um, Altissimu, nullu, dignu, ecc.) e -o (dal latino -o, homo, ecc.), l'evoluzione del latino DJ- a i- in iorno, la forma ène per è, la congiunzione ka, messór per messere, sostengo 'sostengono' senza la desinenza del plurale, ecc. Assisi, che nel medioevo apparteneva all'area linguistica umbra cosiddetta sud-orientale ed aveva quindi affinità con le parlate di Spello, Foligno, Spoleto, ecc., nel corso dei secoli, per l'influenza politica di Perugia, ha perso la maggior parte di questi elementi attualmente vivi invece, come ognuno può sperimentare, in quei luoghi. Ma nel lessico si incontrano alcune voci tuttora presenti nel locale dialetto. La forma skappare, ad esempio, che fu inizialmente interpretata come un errore per skampare, è in realtà ancora vitale nel territorio assisiate, in cui pacificamente viene usata da noi tutti per 'uscire, uscire di casa'. Allo stesso modo mentovare non significa 'memorare', come alcuni commentarono, bensì 'nominare', ed è ben noto ai nostri nonni: se si parla dell'Onnipotente, qualche anziano ancor oggi raccomanda: "non è da mentovare". La continuità di queste voci rende il Cantico, benché universale, ancor più intimo e familiare. Non più quindi formule latine criptiche ripetute dai più a memoria, ma la lingua del quotidiano. Non solo spirituale, dunque, non solo religiosa, non solo morale, non solo sociale: la rivoluzione di Francesco fu un rivolgimento totale.

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