UN MERCOLEDI DI SANGUE PER LA CHIESA DI SANTA CHIARA,
di Francesco Lampone

Il 28 novembre 1442 non è un giorno qualunque per Assisi. È un mercoledì, e piove senza sosta già dal giorno precedente. La città dorme, ma una tremenda minaccia incombe su di essa: già da un mese Assisi è posta sotto assedio da più di ventimila uomini al comando di Niccolò Piccinino, il più grande capitano di ventura del tempo. Il Piccinino, perugino di nascita, è in questo momento a capo dell'esercito di Papa Eugenio IV, con l'incarico di strappare agli Sforza i loro possedimenti nell'Umbria e nelle Marche. Ottenuta la resa di Todi, è ora la volta di Assisi, il cui presidio è comandato da Alessandro Sforza, fratello di Francesco Sforza futuro signore di Milano, e lui stesso destinato alla signoria di Pesaro. Ma la rivale Perugia, fedele al Pontefice, non vuole che per Assisi vi sia possibilità di resa, ma solo saccheggio e distruzione. L'alba è ancora lontana, quando un uomo di guardia nota dei movimenti sospetti nei terreni inedificati a nord del quartiere di Piazza Nuova: l'irreparabile è accaduto, degli armati sono riusciti ad entrare in città attraverso l'acquedotto, e stanno uscendo uno ad uno dallo stretto cunicolo. L'allarme è dato, ma è ormai troppo tardi. Uno dei luogotenenti del Piccinino, il Pazzaglia, sta già guidando trecento uomini su per il pendio dominato dalla Rocca Minore, verso una porticina ricavata nella possente cinta muraria per le sortite degli assediati. Di lì, la massa degli assedianti si precipita all'assalto al grido "Braccio! Braccio! Piccinino! Piccinino!", costringendo i difensori a ritirarsi nella Rocca Minore. Qui vengono incalzati dal Conte Carlo Fortebraccio, nipote del famoso Braccio da Montone, il quale ottiene la resa immediata di ben ottocento mercenari sforzeschi, cui è fatta salva la vita. Un tentativo di resistenza sul limitare dei vicoli di Piazza Nuova fallisce miseramente, talché Alessandro Sforza, insieme alle sue truppe e a gran parte dei notabili della città, si rifugia nella Rocca Maggiore. Quasi contemporaneamente, a causa dello scompiglio generale, cedono anche le difese della parte bassa della città: Piergiovampaolo Orsino riesce a farsi largo e, violato il Convento di San Francesco (contravvenendo agli accordi presi dal Piccinino con i frati) fa prigionieri molti di coloro che si sono lì rifugiati. Vi è però un altro luogo dove le donne assisane hanno cercato scampo con i loro bambini: è la Chiesa di santa Chiara, dietro le cui porte sbarrate piangono e pregano centinaia di esseri umani indifesi. Fuori, intanto, si consuma la mattanza degli ultimi difensori. Così è raccontato nel "Diario del Graziani": "Anco adì ditto, molte e molte donne con li figlioli e con la robba erano recoverate in Santa Chiara, et pure continuamente giva la cità a sacco; onde che capitò lì el Capitano, el quale vedendo lì tante donne e rede recoverate, disse alle ditte donne, e specialmente alle monache de Santa Chiara, che lì non era più buona stanzia per loro, et che esse eleggessero dove che loro volessino andare, che lui ce le averìa mandate scigure; e nominandoli tutte le terre vicine d'intorno, fra le quali esso lo' proferse in ultimo de ponerle salve in Peroscia; ma quando esse intesero nominare Peroscia, le suore prima, e puoi le altre donne resposeno: - A Peroscia volemo che ce vada el fuoco. - Per tanto che odendo questa resposta, el Capitano subito disse: - Sacco, sacco -; et così andò ogni cosa a sacco, el monasterio con le monache, le donne e le rede; et erace della molta robba." Ma il saccheggio è ovunque, tremendo: le case vengono derubate e devastate, viene bruciato in piazza l'intero archivio comunale. Del bottino fanno parte anche donne e bambini, venduti come schiavi a quindici ducati l'uno; in alcuni casi, essi vengono acquistati da benefattori per essere poi rimessi in libertà; in altri, verranno adibiti a compiti di servitù. Intanto, la potente rivale Perugia festeggia con fuochi e scampanii la storica vittoria, ed anzi i governanti della città offrono al Piccinino una ricompensa di 15.000 fiorini (una somma notevole) in cambio della totale distruzione di Assisi, ad esclusione delle Chiese. Ma il condottiero, che intende fare di Assisi un proprio dominio personale, non accetta. Assisi, vinta, devastata, prostrata, è però salva.

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