SAN PIETRO, SEMPLICE E RUSTICA,
di Elvio Lunghi

La storia - si sa - è sempre scritta dai vincitori, mai si dà il caso di una storia scritta dai sconfitti in loro favore. I tardivi ripensamenti di tanti ricercatori pedanti, in cerca di terreni ancora vergine da dissodare, sono figli di un ipocrita accordo raggiunto a Jalta tra Roosvelt e Stalin che ci ha insegnato - direi imposto - a rivedere la storia dalla parte degli ultimi, perché fa tanto politically correct. La storia si sa non può essere riscritta, nemmeno nel ritocco fotografico prediletto nella Russia del gulag, né con la grafica computerizzata di internet. La storia è cinica, giustifica le scelte più impopolari, non accetta se o ma. Ai poeti e ai matti è concesso dar voce alle speranze degli sconfitti, illuminare l'aspetto umano, le speranze deluse; da perfetti ingenui, non sanno o fingono di non sapere che questo mondo è destinato a perire, non per la cabala di un Dio giustiziere ma per la prossima fine del combustibile che alimenta il nostro sistema solare. Altri mondi, altre galassie verranno. Consiglio la lettura di un libricino di Simone Weil intitolato " Cinque lettere a uno studente", editore La locusta, Vicenza 1990 (II edizione 1997), che raccoglie le esperienze del primo viaggio in Italia della scrittrice francese, nel 1936. La III lettera racconta di un viaggio in treno ad Assisi: "...Ad Assisi, sono completamente scomparsi dalla mia memoria Milano, Firenze, Roma e tutto il resto, tanto sono stata affascinata dalle montagne così dolci, così miracolosamente evangeliche e francescane, dalle chiese così incantevoli, da tanti ricordi felici e da quei nobili esemplari della specie umana che sono i contadini umbri, una razza ricca di bellezza, di vigore fisico, di gioia, di dolcezza. Non avevo mai sognato un paese così meraviglioso. Ma c'è un problema, tutto è francescano ad Assisi e dintorni, tutto tranne ciò che hanno costruito in onore di S. Francesco (escluso i bei affreschi di Giotto). È francescano tutto ciò che ha preceduto S. Francesco. È da credere che la provvidenza abbia creato compagnie ridenti, umili e incantevoli chiesette per preparare il suo arrivo. Ha notato che la cappella dove Francesco pregava a S. Maria degli Angeli ( maledetta la basilica che la racchiude!) è una piccola meraviglia di architettura? Così superiore alle opere della maggior parte degli architetti famosi, come una canzone popolare alla maggior parte delle musiche dei musicisti famosi. Poco mancò che restassi tutta la vita - se le donne vi fossero ammesse - in quel minuscolo convento delle Carceri, a 1 ora e 14 minuti da Assisi. Non c'è spettacolo più rasserenante, più paradisiaco dell'Umbria vista da lassù. S. Francesco sapeva scegliere i luoghi più deliziosi per viverci poveramente. Egli non aveva nulla dell'asceta..." Lo studio della storia mi ha insegnato a diffidare di queste semplificazioni: le chiese erette dai pontefici Gregorio IX e Alessandro IV in onore di S. Francesco e Santa Chiara, la gigantesca cupola voluta da Pio V per accogliere nel suo seno la reliquia della Porziuncola, rappresentano la storia dalla parte dei vincitori. È l' utopia concreta di Francesco ad avere trionfato, dalle sue ceneri è cresciuto un albero vigoroso, la sua tomba è diventata pietra angolare di una nuova casa. Non mi interessa sapere cosa sarebbe stato di Assisi se Francesco non avesse ottenuto l'approvazione di Innocenzo III, se il vescovo Guido non avesse appoggiato il suo giovane amico, se i cittadini riuniti in Laterano nel 1215 non avessero accolto la sua forma di vita tra quelle consentite... Probabilmente avrebbe avuto l'aspetto di Spello, di Spoleto : ricche di ruderi gloriosi dell'antichità pagana, soffocati nella morsa volgare di una petulante edilizia popolare. Invece della sua bella cupola - di tutti fuorché di Vignola - la Porziuncola avrebbe oggi per compagni il cementificio e lo svincolo ferroviario che avviliscono la Maddalena - antico lebbrosario di S. Lazzaro dell'Arce frequentato da Francesco quando tornava a dormire nel tugurio di Rivotorto - e il "colle dell'inferno" ospiterebbe una parkhouse o un fastfood. Cancelliamo pure con un clic la basilica di frate Elia, S. Chiara, la cupola di Galeazzo Alessi: cosa resterà del nostro schermo? Resterà S. Pietro, tutta di pietra bianca, un portale dall'aspetto dimesso e con le pietre intagliate dai monaci, tre grandi rosoni concentrici, la cupola che sembra un fungo schiacciato sotto il cappello di coppi. L'interno è spoglio, doppiamente spoglio da quando la Sbaaas decise di abolire gli altari barocchi, ma costruito con tanta pietra come se volesse arrivare fino alla fine dei tempi. Chissà quante volte, Francesco - a piedi scalzi e con le toppe nel sacco da villano- avrà bussato alla porta del monastero; per ottenere un' alzata di spalle alla sua richiesta di una cappella rurale, per sentirsi rispondere che ci volevano tanti soldi per comperare le pietre necessarie all'ultimazione dell'abbazia, che il Signore non aveva lesinato grandine alle messi, gelo agli olivi, ruggine alle vigne. Non si chiamava forse Rustico l' abate che nel 1268 iniziò la parte superiore della facciata? Rustico come i suoi monaci dissodatori provenienti dal nord della Francia come i contadini dei fondi rurali. I contadini che tanto piacevano a Simone Weil, di un'aria così florida ai suoi occhi malati di tisi. Alle pareti della sua chiesa, Giotto - chiamato così, avrebbe potuto chiamarsi Pietro o Palmerino o chissà cos'altro- dipinse un Francesco che parlava con i papi o riceveva l'omaggio delle magistrature comunali. Le pareti spoglie di S. Pietro conservano una striminzita traccia della primitiva decorazione. Vi si vede un S. Giovanni irsuto, con un'aria famelica per aver mangiato troppe locuste. Sotto c'è una scena di caccia; un cacciatore corre dietro i suoi cani, tenendoli legati ad una corda per impedire loro di rubare la preda; cacciatore e cani inseguono un corvo in fuga. Era questa l'Assisi rustica dei tempi di Francesco: corri, fratello, corri.

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