SCORSONI SELVATICI A FIN DI BENE,
di Mauro Balani

La nostra coscienza storica matura sovente attraverso percorsi della memoria che poco spazio lasciano al beneficio del dubbio. Altro tempo non è dato se non di guerra o pace, il futuro è sempre al bivio tra la destra direzione e la sinistra. Stessa sorte toccò al Colle dell'Inferno, luogo crudele, deputato alle massime esecuzioni senza possibilità alcuna di remissione delle pene, né terrene né eterne. Detto colle è oggi noto come Colle del Paradiso, per l'essere stato l'eletto terreno su cui erigere la Basilica a maggior gloria di Francesco. Eppure, piaccia o no, la Dottrina insegna, Dante ben ricorda, l'esistenza del Purgatorio. In effetti, se è pur vero che quel colle costituisce uno straordinario viatico per le anime prossime alla beatitudine, è altrettanto documentato come per gli assisani rappresentò il primo posto dove sostenere in penitenza la dura prova della malattia. Da quando splendente apparve la basilica e fintanto che non giunsero a chiara fama le famiglie Caldari e Cogolli, farmacisti sapientissimi in Assisi, gli afflitti dagli oscuri morbi riponevano ogni loro speranza nella Selva dei Frati, vera e propria farmacia a cielo aperto e fonte inesauribile di medicamenti in guisa di diversi fructi con coloriti fiori et herba. Gli Assisani, avendo da sempre maggiormente cura dei mali corporali, trascurando le ferite dell'anima, finirono con l'intrattenere sempre migliori rapporti con il Padre Guardiano della Selva anziché con il Padre Custode del Sacro Convento. Anche solo per sentito ridire, in molti ricordano Frate Benfratelli che fece della Selva la sua missione e sulla cui fama altri in Roma specularono, utilizzandone subdolamente il nome per avviare un altrimenti anonimo ospedale. Miracolose ed ancora oggi sempre efficaci le sue prescrizioni. La radica di albanello è un toccasana per la malaria, gli impacchi di sambuco sfiammano l'inrucamento, i clisteri di malva eliminano il catarro intestinale, per l'itterizia non v'è altro rimedio delle radici di cicoria, sulle ferite accolte va applicata una foglia di rovo, si svermina solo con la ruta macinata tra i sassi, la debolezza di stomaco si combatte con fiori e foglie di marrubio, la tosse canina ha tregua solo bevendo le bolliture di gramigna, la pleurite regredisce con gli impiastri di muraiola. Può sembrare incredibile ma anche Frate Benfratelli ebbe i suoi umani affanni. A cotanta benevolenza popolare corrispose pari invidia da parte di un Custode poco amato, anzi ignorato dalla città. Quest'ultimo, al fine di allontanare il fratello, non perse l'occasione per riferire al Generale quanto con le proprie orecchie aveva inteso. Per voce di popolo, il Guardiano della Selva riservava maniere troppo forti ai bambini che rifiutavano il cibo. Detti pargoli sarebbero stati sollecitati mediante i più sonori degli schiaffi, meglio detti gli scorzoni. Si aprì un sommario processo non privo di colpi di scena. Fu ben presto chiarito che i piccoli assisani inappetenti ricevevano si degli scorzoni, ma trattavasi dei profumati tartufi neri tipici delle nostre terre, ai quali è impossibile resistere e che spontaneamente crescono nella Selva laddove gli alberi affondano le radici. Tuttavia, ubi maior...: essendo già stata emessa la sentenza prima ancora di avviare il processo, per esiliare il Frate bastò accusarlo di indurre i giovani ai peccati di gola.

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